Testimonianze ex alunni
L'Accademia diede a me e alla mia vita un impulso sí grande da potersi descrivere a mala pena. Passato l'anno presso l'Accademia, non solo ero in grado di leggere e scrivere in latino e in greco, ma - cosa molto piú importante - ardevo di passione per le lettere classiche. Leggevo opere storiche, e filosofiche, e retoriche, non per trovare un angolino ricoperto di somma oscurità, grazie al quale mi sarei presentato agli altri come uno specialista - che è, mi sembra, l'usanza comune dappertutto fra i dotti - ma per diventare un uomo migliore.
Appresi dai nostri maestri di Montella un nuovo e conveniente sistema per imparare il latino e il greco, che mi rendesse in grado di capire a fondo e autenticamente la letteratura latina e greca. Vi dirò, perciò, che se c'è una via per guardare alla latinità e alla grecità con occhio accuratamente scrutatore, è questa che viene indicata da tutti gli ottimi maestri dell'Accademia Vivarium novum. Poiché il metodo usato lí nelle lezioni non è costituito solo da un certo uso di queste lingue, ma pure dall'esercizio quotidiano, e in questo modo è facilissimo far sí che gli studenti imparino giornalmente innumerevoli locuzioni latine e greche.
Con cosa mi sarei dovuto misurare, l'ignoravo del tutto; per cui, prima che ci fossi stato di persona, avevo preso l'impegno di tornare a Praga dopo un solo semestre. Ma tutto ciò che vi trovai —sia le solide amicizie, sia gli studi meravigliosi— ebbe in me una forza tale non solo da farmi decidere di rimaner tutto l'anno, ma anche di restaurare e promuovere piú vivaci studi della latinità nella Repubblica ceca.
Ricordo bene come, prima di recarmi all'Accademia, non fossi in grado di mettere insieme una frase in latino e quanto la letteratura latina mi facesse sudare. Ora, dopo avervi passato del tempo, leggere e attinger dagli autori latini le cose nuove è per me una gioia e un diletto; e ciò è di grande utilità, affinché io stesso, insegnando, promuova meglio la latinità e avverta piú facilmente ciò che gli scrittori del passato ci hanno tramandato.
Lí, Luigi Miraglia accendeva gli spiriti di tutti noi colla passione per le lettere classiche, c'insegnava la lingua greca e la latina, forniva noi adolescenti d'un esempio morale da imitare e nutriva a sue spese gli studenti nei santuari delle Muse con tanta carità e liberalità da non sembrar dissimile da Guarino da Verona, che, come scrive Ludovico Carbone suo allievo, «trattando come figli tutti gli adolescenti che ricercassero avidamente le lettere, non solo gl'impartiva con gran piacere la propria conoscenza, ma attingeva molto spesso alle sue stesse sostanze per farli emergere».
La piú gran cosa che la vita nell'Accademia può suscitare è quell'amor degli studi che conduce a una passione piú profonda per la sapienza. È questo, infatti, il fine della vita in comune e dell'uso della lingua: nutrire ἔρωτα οὐράνιον [amor celeste] che unico e solo va venerato. Quest'amore può esser riconosciuto dal fatto che desidera sempre scoprir nuove cose, è avidissimo di sapere, abbraccia pienamente la sapienza. Qualsiasi amore è desiderio di cose assenti, ma chi arde per la sapienza se ne augura il massimo, e chi sente di non averne, e pertanto la chiede, già la raggiunge. Questa passione per la sapienza può essere svegliata, in Accademia, soprattutto leggendo, ascoltando e pensando; non, però, affinché ciascuno s'immerga nei propri penetrali, ma disputi cogli altri e abbia prova della verità.
Posso a mala pena enumerare quante cose io abbia potuto non solo imparare, ma addirittura assimilare, in quest'anno montellese, ma, tra esse, ciò che riguarda l'erudizione e la padronanza delle lingue rappresenta solo una parte: il resto ha a che fare col modo di vivere e colla vita tutta. Cosa significasse la letteratura, a che fine la leggessimo, cosa avessero a che fare con noi gli scrittori e le loro opere, e infine cosa potessero mettere in campo per l'uso di tutti: in tali e simili questioni mi sono imbattuto. La risposta l'ho ricevuta in un'originale comunione di maestri e allievi.